Un'auto. Una comune berlina color grigio-topo.
Una conducente. IO.
Le mani sul volante.
Gli occhi, attraverso le lenti oscurate Ray-Ban, osservano il monotono panorama: risaie, risaie e ancora risaie.
Un grande deserto di paglia bruciata, tranciato di netto in due parti da una striscia nera. Quella su cui sto viaggiando.
Alzo un pò il finestrino e guardando il sole avvicinarsi al tramonto, sorrido.
Tra meno di mezz'ora avrò raggiunto la mia prima tappa: casa dei miei genitori; ho voglia di parlare un pò con mia madre.
Da quando non abitiamo più insieme, sembrerà strano, ma ci vogliamo più bene. Ci sentiamo più vicine.
Supero un lieve dosso che vorrebbe somigliare ad un ponticello, ma in realtà è solo una parte di asfalto rialzata decorata con ringhiere arrugginite ai lati.
Guardo avanti e vedo il prossimo incrocio.
Nessuno, tranne un'auto azzurro-grigio ferma allo stop di sinistra, alla quale non dò molto peso.
E' ferma. Ed ho precedenza.
Percorro il tratto tra il dosso e l'incrocio. Ci sono dentro col muso.
L'auto-azzurro-grigio parte.
Come si misura il tempo?
Rallenty.
Mi accorgo con la coda dell'occhio che qualcosa non va. Mi giro a sinistra e la vedo. Mi sta venendo addosso. Grido. Freno.
Nel frattempo il mio cervello focalizza la strada: a sinistra l'auto inferocita, a destra una risaia rialzata. Senza rendermene conto formulo una soluzione assurda: "Se accelero dovrei passarci."
Qual'è la velocità di reazione del cervello umano?
Non faccio in tempo a provarci.
Mi rendo conto che non la posso evitare.
L'urto è violento.
Sento un colpo violento a sinistra, prima vicino alla ruota anteriore, poi al centro della portiera.
Vengo sbattuta come uno dei fantocci usati nei crash test.
Il mio cervello si svuota, non riesco a pensare e lo scoppio dell'airbag mi mozza il respiro, anche a causa dell'odore di sodio e azoto, comprimendomi lo sterno per una frazione di secondo che mi sembra lunga quanto una vita.
Non capisco più nulla, vorrei far qualcosa, ma prima di rendermene conto il mio veicolo come impazzito si impenna sulla risaia che lo respinge in modo violento e ricade quindi violentemente, prima sul lato sinistro e poi sulla capote, fermandosi con il cofano rivolto verso la risaia poco magnanima.
Tiro il fiato.
Con cigolii sinistri la capote si piega fino alla testiera dei sedili anteriori, in quanto non riesce a sopportare il peso delle lamiere e del motore.
Mi giro a sinistra, e capisco perchè, poco prima, avevo sentito dei vetri. Lo scheletro del finestrino è leggermente piegato su sè stesso e il vetro è completamente in frantumi.
Davanti a me l'airbag ormai sgonfio.
Mi giro a destra: il vetro del finestrino è completamente crepato, ma non rotto.
Penso:"Con un calcio dovrebbe rompersi."
Sento una puzza indescrivibile. Ho paura che l'auto possa esplodere.
Decido che devo uscire. Ho poco tempo.
Mi libero dalla cintura e striscio fuori dal finestrino di sinistra provocandomi qualche taglio con i vetri, con la paura sorda che l'altro automobilista sia scappato.
Che colore ha la rabbia?
Non sono ancora in piedi e già inveisco contro il conducente dell'auto azzurro-grigio, senza sapere dov'è e come sta.
Poi lo vedo.
E' più sconvolto lui di me.
Potrebbe essere mio padre.
E' bianco in volto quasi come un fantasma, continua a ripetere:"Non ti ho vista, non ti ho vista. Non ti ho proprio vista." Taccio. Penso che sono fortunata ad essere viva. E ancora più fortunata perchè non ho nulla di rotto.
Tremo.
Guardo l'auto sottosopra. Le dico col pensiero: " Ciao mia piccola trattorina".
Ho una scarica di adrenalina in corpo che mi consentirebbe di correre per Km e Km senza sentire nè fatica, nè dolore.
Avviso mia madre con il cellulare che mi porge una ragazza.
La ringrazio almeno mezz'ora dopo.
C'è una folla di persone attorno a noi.
Curiosi. Avranno qualcosa di cui parlare per qualche giorno.
Tutti mi chiedono se sto bene.
Tutti vogliono portarmi via.
Vogliono darmi da bere.
Vogliono farmi sedere.
Ma io non voglio niente.
Vorrei solo non fosse mai successo.
Cerco di controllare le emozioni.
Mi accovaccio e guardando dentro all'abitacolo trovo il cellulare.
Funziona ancora.
Faccio una foto e la invio al mio ragazzo.
Mi chiama.
Mi raggiungerà.
Per sicurezza faccio diverse foto all'incidente. E poi...attendo.
Soccorsi, carabinieri, parenti.
Tre ore e mezza dopo esco dal Pronto Soccorso con un collare di gommapiuma al collo, che non allevia il dolore, anzi, dà solo più fastidio.
Finalmente torno a casa. Senza la mia auto, con un lancinante dolore al collo, alla spalla e al braccio sinistro.
E' tardi...è meglio andare a letto.
Spengo la luce e lascio calare il buio, saranno in troppi domani a voler sentire questa storia....
Che brutta esperienza...... Accidenti.....
RispondiElimina... ma raccontata divinamente
RispondiElimina@ Taliesin: già. Non lo auguro a nessuno.
RispondiElimina@ Vi: Grazie. Ci ho provato :) e spero di esserci riuscita.
...traigo
RispondiEliminasangre
de
la
tarde
herida
en
la
mano
y
una
vela
de
mi
corazón
para
invitarte
y
darte
este
alma
que
viene
para
compartir
contigo
tu
bello
blog
con
un
ramillete
de
oro
y
claveles
dentro...
desde mis
HORAS ROTAS
Y AULA DE PAZ
TE SIGO TU BLOG
CON saludos de la luna al
reflejarse en el mar de la
poesía...
AFECTUOSAMENTE:
MORGANA-MAGA
DESEANDOOS UNAS FIESTAS ENTRAÑABLES OS DESEO FELIZ AÑO NUEVO 2010 Y ESPERO OS AGRADE EL POST POETIZADO DE LA CONQUISTA DE AMERICA CRISOL Y EL DE CREPUSCULO.
José
ramón...
Mi dispiace tantissimo per questo bruttissimo incidente, ma l'importante è che tu ora sia quì a parlarcene ^_^ Buon inizio di settimana
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